15 aprile 2014

Ammazzò 3 persone con il piccone: 20 anni di carcere per Kabobo

20 anni di reclusione: è la sentenza disposta dal gup di Milano nei confronti di Kabobo, l'uomo che uccise 3 persone a colpi di piccone, senza alcun motivo, nella città lombarda.
Il ghanese, 31 anni, è stato giudicato con il rito abbreviato e dovrà anche rimanere 3 anni in una casa di cura.
Al criminale è stata accertata la semi infermità mentale, che gli ha favorito una diminuzione della pena.
Grande rabbia e delusione da parte del figlio di una delle vittime: "In altri Paesi avrebbe subito una condanna a morte oppure l'ergastolo, ma in Italia lo Stato fa entrare i clandestini e nemmeno li segue".

2 commenti:

  1. buttatelo nella spazzatura questo sporco pezzo di m....

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  2. Tre persone che potrebbero essere ancora vive e due ancora vive ma,non sappiamo in che maniera e con quali penose conseguenze quotidiane.
    Qui c’è da cominciare a valutare se ci sono gli estremi della incostituzionalità nel comportamento di uno Stato che non garantisce la incolumità dei cittadini ovvero non mette in atto quelle azioni di prevenzione, di valutazione dei fenomeni necessarie a ridurre ragionevolmente un loro accadimento o li contenga entro percentuali statisticamente accettabili; in parole povere, a che, entro il territorio dello Stato italiano -tutto il territorio- sia garantito uno standard d’incolumità di ciascuno di noi, esclusi quei fenomeni non sondabili che sfuggono all’insieme di prevenzione e azione mirate a scongiurarli.
    E’ evidente che in questo caso la macchina statale non ha messo in atto tutti quei comportamenti necessari affinché un evento dannoso non si verifichi (cosa viceversa richiesta ad ogni cittadino nello svolgimento delle sue funzioni e in ogni suo comportamento).
    Questo a cominciare dal fatto che il soggetto abbia potuto rimanere all’interno del territorio italiano anche se destinatario di un decreto di espulsione, quindi da soggetto che una volta uscito da una caserma di Polizia è diventato invisibile al sistema statale, condizione assolutamente sbilanciata rispetto a quella di ogni cittadino italiano.
    A seguire, in fase processuale, lo Stato tramite il PM ha accolto una tesi, quella della seminfermità mentale, che denota illogicità e assenza di analisi della storia conosciuta del Kaboobo. La perizia che, sappiamo, non è vincolante per un Giudice, dichiara una condizione in antitesi con tutta una serie di comportamenti “conosciuti” in terra italiana, ovvero la sua scelta di intraprendere il tortuoso perscorso dal paese d’origine verso l’Italia, l’attraversamento del mare a fronte del probabilissimo pagamento di una forte somma di denaro,il ricorso al decreto tramite avvocato ecc.; comportamenti che ripeto denotano una volontà ordinata, il possesso di conoscenze non facili, per un soggetto digiuno di lingua e leggi italiane, di meccanismi amministrativi appartenenti ad una Nazione nuova.
    E qui si apre la parentesi di chi è corresponsabile in queste situazioni, ovvero di chi offre sistematicamente supporto al prolungamento della condizione di clandestino all’interno dei confini nazionali

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